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Cannabis e COVID-19: facciamo chiarezza

Cannabis e COVID-19: facciamo chiarezza
14 Gennaio 2022 Copy

La logica è un’invenzione meravigliosa. È così meravigliosa che spesso le persone la confondono con la ragione. La ragione, comunque, richiede un senso. La logica richiede solo la coerenza.” – Jane Haddam

  Gira da qualche tempo, come notizia virale arrivata solo adesso in Italia, una pubblicazione scientifica interessante. Più precisamente, nella Oregon State University i ricercatori hanno scoperto che nei modelli in vitro, gli acidi precursori dei cannabinoidi attivi si legano alla proteina Spike del SARS-CoV2 rendendo difficoltosa l’entrata dell’informazione genica del virione nella cellula. 

Per chi mastica un po’ di biochimica ed è appassionato al mondo della cannabis, messa così è già una bella notizia e molto chiara. Tuttavia sta sorgendo un problema, ed è un problema caratteristico di questa peculiare epoca. 

  Sui titoli di giornale in mezzo mondo, però, la notizia appare come “Fumare erba impedisce il contagio!.

  Ma i titoli di questi giornali corrispondono a cosa significa il risultato della ricerca dell’Università dell’Oregon? La risposta è no! Di seguito spiegheremo il perché, ma prima: non scoraggiatevi! Se è vero che bisogna badare e fare molta attenzione ai titoli sensazionalistici, è anche vero che la cannabis è oggetto di studio, conseguendo ottimi risultati, per combattere il COVID. 

 

Informazione sana

  Lo stato della divulgazione, scientifica e non, riguardante le piante e molecole psicoattive è sempre costellato da miti e leggende, insieme a risultati di ricerca in grado di cambiare del tutto i paradigmi esistenti. Il più delle volte però si rischia di dare troppo credito a delle leggende che suonano facili alla comprensione e che distorcono una verità, danneggiandola nella sua divulgazione. 

 -> Ma dunque la cannabis può aiutare o no a combattere il COVID-19? 

  È evidente da ciò che emerge dai dati sperimentali che la cannabis può essere molto d’aiuto. A dire il vero forse più nel trattare i sintomi e gli strascichi del “Long Covid” che nel prevenire l’infezione, per lo meno considerando in che modalità d’impiego è maggiormente diffusa. Potete approfondire l’argomento in questo articolo risalente ad Aprile 2021.

 ->  Allora i risultati della ricerca in Oregon sono sbagliati? 

  I risultati provengono da una ricerca seria ed approfondita, che sarà sicuramente una base per futuri studi sempre più dettagliati riguardo il fitocomplesso della cannabis. Si tratta di risultati

 affidabili. Ciò che è sbagliato è l’interpretazione delle testate giornalistiche. Ignorare la differenza tra cannabinoidi attivi e gli acidi precursori corrispondenti è un errore che in piena emergenza pandemica, che perdura da due anni, meriterebbe la radiazione istantanea dall’albo dei giornalisti. 

Acidi o non acidi, è questo il dilemma

  Le molecole studiate per la loro efficacia nell’ostacolare l’insorgere del contagio da SARS-CoV2 sono il CBD-A, CBG-A e THC-A. Sono gli acidi precursori delle più famose molecole CBD (Cannabidiolo), CBG (Cannabigerolo) e THC (Tetraidrocannabinolo). 

  Qualcuno a questo punto potrebbe accorgersi che nelle analisi di laboratorio con HPLC dei campioni di cannabis light, si conteggia il THC-A insieme al THC per avere la quantità totale di Tetraidrocannabinolo presente nel campione. Abbiamo descritto questa questione in quest’altro articolo sulla decarbossilazione dei cannabinoidi.

 

  Il motivo è semplice: è sufficiente il calore a convertire gli acidi dei cannabinoidi nei cannabinoidi attivi. Di conseguenza, se in seguito allo studio sappiamo che gli acidi inattivi dei cannabinoidi ostacolano il virus, poco e niente a tal proposito conosciamo dei prodotti della combustione della cannabis.

  Dunque si, delle preparazioni galeniche della cannabis sono assolutamente possibili per ridurre la possibilità di contagio. Ma non con le molecole che catturano la maggior fetta di attenzione! O meglio… non proprio!

In vitro, ma in vivo?

  Un’altra questione da chiarire riguardo il sensazionalismo è che ciò che appare in vitro è ancora lontano da poter essere considerato modello ideale per capire cosa succede in vivo. Questo tipo di risultati necessiterebbe una ricerca approfondita con test prima sul modello animale e poi sull’uomo, perché si possa affermare con certezza che questi composti della cannabis impediscono il contagio. Bhe, non sarebbe neanche da sottovalutare l’efficacia che dimostrano i cannabinoidi come medicinali antivirali generici, come vengono testati in particolare contro l’Epatite C.

 

Più degna di nota resta quindi piuttosto l’azione antinfiammatoria dei cannabinoidi attivi sulla iperproduzione di interleuchine. Anche qui però si tratta di ipotesi su modelli in vitro. Ma perlomeno coadiuvati da successi sperimentali in fasi successive, per lo meno per quanto riguarda patologie differenti ma mediate sempre da bombardamenti delle stesse interleuchine coinvolte dalla proteina Spike.

 

  C’è ancora una questione molto rilevante. Una grande massa di dichiarazioni aneddotiche sull’efficacia della cannabis nel mitigare i sintomi del COVID potrebbe spingere molto in avanti la ricerca sull’argomento, ricordando che appunto siamo in una situazione di emergenza che perdura. Tuttavia questo sembra non essere ancora possibile a causa della paura ad esporsi che il proibizionismo ha radicato nei consumatori di cannabis. 

È dunque importantissimo fare chiarezza sullo stato della divulgazione scientifica riguardante la cannabis, in quanto la disinformazione è precisamente e da sempre l’arma principale del proibizionismo. Calza a pennello qui una frase attribuita ad Oscar Wilde:

“Mai discutere con un idiota, ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza”.

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