“Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo.” – Plinio il Vecchio
Che l’Africa stia dando il via a tutta una serie di cambiamenti, lo si intuiva già da un po’ di anni. Gli economisti Federico Bonaglia e Lucia Wegner, nel loro libro “Africa. Un continente in movimento” discutono del boom economico che mediamente l’Africa sta vivendo da una quindicina d’anni.
Si tratta naturalmente di considerarlo un “boom” per lo più per quanto riguarda l’aumento delle esportazioni e dei prezzi delle materie prime. Fattori fondamentali sono stati: “il sostanziale miglioramento delle politiche macroeconomiche, il progresso verso la democrazia, l’emergere di una nuova classe dirigente, la diffusione delle tecnologie” (p. 51).
Come si può intuire, questa crescita è ben lontana dall’includere le fasce di popolazione più povere. Intorno alla cannabis però sta partendo un fermento interessante anche da questo punto di vista.
Cannabis e sviluppo socioeconomico
La MG Health, in Lesotho, si era già fatta notare quando nel 2018 ottenne l’autorizzazione per l’esportazione di cannabis terapeutica in Canada. Da quando lo stato Africano aprì all’esportazione nel 2017 attirò molte attenzioni tra aziende Statunitensi, Canadesi e Britanniche che vi investirono immediatamente.
I’ex Ministro delle Finanze e neo Primo Ministro del Lesotho Moeketsi Majoro afferma che “Abbiamo duecentomila ragazzi senza lavoro, una bomba ad orologeria da disinnescare quanto prima usando coraggio e creatività. L’industria della canapa medica è in pieno sviluppo. E noi abbiamo assoluto bisogno di creare nuove opportunità per i nostri figli”.
Un esempio che potremmo seguire, dato che mentre in Italia perdiamo tempo con opposizioni dagli argomenti più fallaci alla regolamentazione della cannabis, l’UE autorizza il primo stato Africano a rifornirla di cannabis terapeutica. In un altro articolo abbiamo già parlato delle falle anche quantitative che attualmente sono presenti nella gestione Italiana della cannabis ad uso terapeutico.
Il ruolo che può avere l’Italia
Dopotutto, se in Italia la cannabis terapeutica non è assolutamente sufficiente rispetto alla richiesta è per via dell’ostracismo e di chissà quali collusioni. Basterebbe notare che mentre l’ONU toglie la cannabis dalle sostanze pericolose, sotto indicazioni precise della WHO ed interi stati Africani ricevono milioni in investimenti per la produzione e l’esportazione in UE, qui si banalizza la questione ad una perdita di tempo.
Si vede che lo è per chi punta su queste posizioni per conservare il proprio stipendio, mentre il COVID-19 e le conseguenti misure di sicurezza stanno facendo strage di piccole aziende Italiane. In questo periodo storico, avviare aziende, piccole o grandi coltivazioni di cannabis light e “preparare il terreno” a quello che sarà un nuovo fiorire di questo mercato è un gesto che potrebbe fruttare molto a chi gioca d’anticipo. E a proposito di giocare d’anticipo e di preparare il terreno, è già possibile in Italia procurarsi quantità industriali di supersoil biologico DOGMA presso il vostro negozio di fiducia insieme a tutto il bagaglio esperienziale necessario.
Se la cannabis terapeutica di qualità potrà essere fornita dall’Africa, infatti, è possibile che altre realtà, sempre se legalmente concesse, possano comunque fruttare molto ad un paese con una così lunga storia agricola. L’Italia potrebbe essere il terreno di coltura perfetto per la sperimentazione e per il breeding di varietà legate al consumo ricreazionale a livello Europeo! Nel frattempo è già fortemente radicato nell’economia del paese il ruolo benefico della cannabis light. Questa sta permettendo di raffinare sempre più metodologie ed esperienze di realtà industriali.
Dalla giusta scelta di terreno, serre o postazioni indoor, alla distribuzione in piccola e larga scala, la cannabis light ed il suo mercato sono già uno scheletro di quella che potrebbe essere una svolta notevole nella piangente economia Italiana.
Nel resto del continente Africano
Nel frattempo, l’esperimento del Lesotho sta facendo partire iniziative simili in Zambia, Malawi, Sudafrica e Zimbabwe e Uganda. Si tratta di aree dove la cannabis è sempre stata coltivata, perché molto tollerata anche se illegale.
Anche in Nordafrica abbiamo notizie di proposte di legalizzazione della produzione industriale di cannabis terapeutica. Il Marocco e la Tunisia hanno già fatto parlare molto di come primi passi di legalizzazione rappresenterebbero un contrasto ai commerci illegali ed allo stesso tempo a pesanti crisi sociali. La disoccupazione in Lesotho ad esempio è stata uno dei fattori determinanti per queste scelte politiche-economiche. Così come anche una stima secondo la quale il 70% della cannabis venduta illegalmente in Sudafrica proverrebbe dal piccolo regno.
In Zambia si sta discutendo di piani di esportazione di cannabis per contrastare l’appesantimento della crisi del debito pubblico che da qualche tempo sta affliggendo il paese. In Uganda è già presente una compagnia Israeliana, Together Pharma, in congiunzione con una azienda locale, Industrial Hemp, per rifornire Tel Aviv di cannabis terapeutica. Il governo dello Zimbabwe ha autorizzato il rilascio di licenze per la coltivazione a scopo medico e di ricerca, vale per singoli e per le aziende. Si tratta di licenze quinquennali rinnovabili che consentiranno il possesso, il trasporto e la vendita di ogni tipologia.
Africa ed Europa
Ognuno di questi paesi ha una lunga storia per quanto riguarda la cannabis. Non si tratta affatto di aziende che hanno bisogno di troppe sperimentazioni per avviarsi: non mancano certo coltivatori esperti. In Zimbabwe la cannabis è comunemente conosciuta come mbanje; in Lesotho il popolo Basotho usa la cannabis nella medicina tradizionale sin dal XVI secolo. Vi sono documenti risalenti al 1500 che attestano scambi di cannabis per selvaggina tra membri di questo popolo e boscimani.
Da un lato c’è da augurare il meglio per tutti i paesi Africani che stanno abbracciando questa opportunità di risollevare condizioni socioeconomiche drammatiche. Dall’altro c’è una spaventosa e spinosa questione: in Europa, ad esempio in Italia, legislazioni e prese di posizione frenano e rallentano una produzione industriale di cannabis. C’è il rischio che quando e se sarà possibile in Italia avviare un mercato nuovo della cannabis, aggiuntivo a quello della cannabis light, vi sarà concorrenza con i prodotti a basso costo esportati.
Si sta tanto parlando in Italia di depenalizzare la coltivazione domestica, il che sarebbe sicuramente un passaggio storico ed importantissimo. Tuttavia bisognerebbe forse anche discutere delle realtà industriali che stanno già producendo lavoro e giri economici perfettamente legali. E sarebbe saggio premere sull’acceleratore.