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Legalizzare vuol dire aumentare il consumo? Sbagliato!

Legalizzare vuol dire aumentare il consumo? Sbagliato!
5 Maggio 2021 Copy

“Il proibire una moltitudine di azioni indifferenti non è prevenire i delitti che ne possono nascere, ma egli è un crearne dei nuovi.” – Cesare Beccaria dal Capitolo 41 de Dei Delitti e delle Pene.

  I meccanismi perversi della gestione proibizionista sono evidenti sin dal 1764. Beccaria parla di un meccanismo ovvio per tutti tranne che per chi trae diretta visibilità e profitto dalla proibizione. Tuttavia, nel 2021, visibilità significa anche gestione del pensiero e modifica di verità fondamentali. Ecco perché, per contrastare una deriva dai tratti Goebbelsiani, dobbiamo consultare le pubblicazioni scientifiche. 

Dettaglio della statua dedicata a Cesare Beccaria nella Pinacoteca di Brera, Milano

  A seguito della pubblicazione di una serie di studi statisticamente validi la National Science Academy ha dichiarato:

Le prove che la decriminalizzazione dell’utilizzo della marijuana porti inevitabilmente ad un incremento significativo di questo uso sono scarse. 

  Il che vuol dire che non c’è alcuna valenza statistica che una decriminalizzazione porti a una maggior diffusione del consumo di cannabis. Questa dunque è una inchiesta diretta all’utilità effettiva delle leggi discriminatorie nei confronti dell’uso della cannabis. Beccaria direbbe “Falsa idea di utilità è quella che sacrifica mille vantaggi reali per un inconveniente o immaginario o di poca conseguenza”. Aggiunge anche che questo “toglierebbe agli uomini il fuoco perché incendia e l’acqua perché annega”.

L’oggetto di studio

  Citeremo delle pubblicazioni scientifiche basate sull’osservazione di dati reali in paesi in cui da qualche anno si sono sviluppate politiche di decriminalizzazione. Bisogna prima però notare che una decriminalizzazione, nei primi tempi, porta ad un aumento di consumatori dichiarati. Significa che aumentano i consumatori? Assolutamente no! 

Alcuni degli argomenti proibizionisti si soffermano su dati acerbi provenienti dai primi anni di decriminalizzazione in Stati che hanno vissuto per anni in un clima di stretto proibizionismo. È impensabile sostenere di avere una validità statistica su dati inevitabilmente parziali. In Italia ad esempio, la stima che vi siano all’incirca 8 milioni di consumatori Italiani di cannabis è quantomeno ridicola. Si basa per lo più su dati del SERT. Ma è evidente che l’uso della cannabis è esteso a fasce di popolazione ben più ampie!

  L’oggetto di studio ideale per poter fare uno studio statisticamente valido è inevitabilmente un paese che abbia decriminalizzato da tempo. Lo stigma sociale è infatti per questo tipo di studio un fattore invalidante cardine.

Mappamondo storico dei 6000 anni di cannabis terapeutica

  Nessuno vi dirà che è un consumatore di cannabis in un paese dove chi aiuta un malato a coltivare cannabis a scopo terapeutico rischia la galera. Bisogna quindi sondare laddove dichiararsi un consumatore non dia idea che si rischi qualcosa né legalmente, né e soprattutto a livello di emarginazione sociale. E vedremo anche come proprio l’emarginazione, spesso frutto proprio di politiche proibitive ed anacronistiche, porti alle conseguenze più drammatiche.

Legalizzazione e diffusione

  Lo studio su NCBI intitolato “First, Do No Harm: Consequences of Marijuana Use and Abuse[1]” chiarisce bene l’argomento. Il concetto fondante dello studio, ed uno dei capisaldi della medicina e farmacologia è Primum non nocere. Vale a dire, nello studio di una cura è indispensabile tenere conto di eventuali condizioni avverse o conseguenze avverse della cura stessa.

  Da questo punto di vista le stesse evidenze storiche dimostrano che non esisteva alcun problema di diffusione della cannabis come “droga” prima delle proibizioni. E queste sono sorte prima di ogni studio statistico sulla diffusione e sulle conseguenze positive o negative dell’uso e dell’abuso.

  Nello studio si fa naturalmente distinzione tra condizioni di uso e condizioni di abuso. Cosa interessante, per monitorare gli effetti dell’uso si campionano non più solamente pazienti a cui è somministrata cannabis a scopo medico. Sembra infatti che nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders[2] è specificato che:

Tolleranza e dipendenza sono adattamenti fisiologici normali all’uso ripetuto di ogni sostanza. L’uso corretto di medicamenti prescritti per il dolore, l’ansia e persino per l’ipertensione produce generalmente tolleranza ed in qualche misura una dipendenza fisiologica. 

  Il che getta luce sulla prospettiva che, sostanzialmente, l’uso della cannabis non sia diverso in termini di tolleranza e dipendenza da sostanze largamente accettate e di comune utilizzo. In questo paradigma, sarebbe anche facile provare scientificamente che il caffè possa causare modifiche del comportamento legate alla dipendenza ed all’alta tolleranza anche più drastiche di molte droghe illegali. Intanto, vediamo cosa dicono studi analoghi che confrontano sostanze quali alcool, tabacco, eroina, metanfetamina, anfetamina e THC.

L’esagerazione proibizionista

  La pubblicazione del 2015 intitolata “Comparative risk assessment of alcohol, tobacco, cannabis and other illicit drugs using the margin of exposure approach[3]” ci chiarisce le idee. In questo studio si fornisce un approccio scientificamente e statisticamente valido per stimare i rischi associati all’uso non terapeutico di queste sostanze. Vi è dichiarato specificatamente che:

I nostri risultati sul MOE (Margine di esposizione) confermano precedenti classificazioni di sostanze basate su altri approcci. Nello specifico, i risultati confermano che i rischi associati alla cannabis potrebbero essere stati sovrastimati in passato…. dal punto di vista della mortalità, il MOE del THC/cannabis, sia negli individui che nei sondaggi basati sulle popolazioni, rientra assolutamente nei margini di sicurezza…. Al contrario, il rischio associato all’alcool potrebbe essere stato generalmente sottostimato. 

  Il titolo di questo paragrafo enuncia una esagerazione unicamente per questioni di onestà intellettuale. Ma se analizziamo le affermazioni proibizioniste, queste più che esagerate risultano del tutto prive di fondamento. Anzi, più sono prive di fondamento, più vengono ripetute automaticamente.

Donna che fuma marijuana sulla Parliament Hill, il 4/20 del 2017 ad Ottawa, Ontario.

In conclusione: SCIENCE, BITCH!

  L’approccio di questo studio, che si basa su campionamenti che non riguardano l’uso terapeutico, è anch’esso un risultato della ricerca. L’obiettivo raggiunto è quello di avere sempre più strumenti affidabili per studiare questi fenomeni, e scongiurare approcci sensazionalistici avulsi da qualsivoglia credibilità in fatto di dati. È specificamente precisato che:

Una scoperta importante del nostro studio è la realizzazione che il rischio delle sostanze varia estremamente, e quindi è necessaria una scala logaritmica per la presentazione di dati del MOE. Dunque, pensiamo che gli approcci precedenti basati sugli esperti, che spesso applicano una scala lineare di 0-3 o 0-100 abbiano portato ad una forma di “egualitarimo”, in cui l’impatto sulla salute pubblica di diverse sostanze appare più simile di quanto non sia in realtà

  Non solo possiamo tranquillamente affermare che politiche di legalizzazione e decriminalizzazione non portano ad un aumento significativo di consumatori. Possiamo anche affermare che l’instaurazione di uno stigma sociale “mostra … un aumento di disordini mentali e di uso di sostanze, nello specifico se correlato alle fondamenta neurobiologiche di questi disordini[4]“. 

  Come se non bastasse, la pandemia da COVID-19 ha permesso di constatare che l’isolamento, e questo vale anche per l’emarginazione da stigma sociale, porta ad un aumento dell’abuso di sostanze ben più pericolose, come l’alcool. Si può consultare per delucidazioni la pubblicazione del 2020 intitolata “Alcohol and isolation: Experts comment on drinking behavior during COVID‐19[5]“.

  Che lo scopo dei proibizionisti, tra governanti, opinionisti e giornalisti, sia in realtà quello di avvelenarci? Sicuramente avvelenano gli animi, cosa che guardacaso nessun attivista della cannabis si accinge a fare. 

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